Davide: Ancora un controllo della polizia prima di uscire da Tidjikja e imbocchiamo la prima pista che sembra andare nella giusta dir...

Bisogna dare più gas

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Davide: Ancora un controllo della polizia prima di uscire da Tidjikja e imbocchiamo la prima pista che sembra andare nella giusta direzione: non abbiamo fatto neanche un chilometro e già ci accorgiamo di andare verso un ‘cap’ non ottimale. Si girano le moto nella sabbia molle e appuntiamo la prima caduta: alzarle da cariche è sempre un supplizio, e ripartire è una lenta impresa da fuorigiri...
Poi la pista si fa bella: scorrevole e tecnica al tempo stesso, con qualche pietra ben nascosta e qualche zig-zag da fare nella sabbia. C’è vegetazione bassa e rada, ma troppe pietre di contorno, per cui fare fuori pista risulterebbe troppo lento ed impegnativo.
Abbiamo delle ‘tappe’ intermedie da raggiungere, tra cui Rachid. La pista diretta la taglierebbe fuori, ma nei pressi c’è una guelta che merita e poco prima un palmeto: dovendo fare 400 km in mezzo al niente, tanto vale andare a vedere tutto quanto di interessante c’è nei paraggi.
La direzione sembra ancora una volta non ottimale, per cui mi fermo... il socio non se ne accorge e prosegue, e prima di vederlo tornare indietro passeranno interminabili minuti: tanto vale prenderla con filosofia e togliersi il casco! Un po’ di sole a dicembre è sempre gradito, e l’unico disturbo è la sabbia alzata dal vento...
Tornato Nicola, si riparte prendendo un’altra direzione, e dopo poco arriviamo ad un palmeto: ormai intorno è solo deserto, e vedere delle palme in mezzo al niente ha sempre il suo fascino. Peccato per l’aria carica di sabbia che fa apparire tutto ovattato e privo di brillantezza, e peccato per il fondo troppo soffice, che rende ogni sosta un incubo per ripartire.

Il palmeto di El Ahouetat

Nicola: Giusto il tempo di una foto e si prosegue in direzione di un pozzo. La pista si fa più tecnica, attraversa un caos di pietre in cui il percorso è obbligato, bisogna seguire i solchi lasciati dai fuoristrada, che serpeggiano fra i sassi. Rallento il ritmo, ma la sabbia nei solchi è molle e sotto una certa velocità la regina sprofonda, diventa nervosa, incontrollabile. Sono a terra. Come al solito, non riesco ad alzarla. Davide ride mentre viene a darmi una mano, io noto con preoccupazione la benzina che esce dal tubo di sfiato del serbatoio. Non possiamo permetterci di perderne una goccia...
Riparto. Il posteriore scava, prima, seconda, mi alzo in piedi. Non riesco a prendere la velocità necessaria per galleggiare, cado di nuovo. Ho fatto dieci metri. Stavolta Davide non ride. Agguanto la moto con rabbia, tiro, spingo per farla uscire dalla sabbia, riparto. Ma non c'è due senza tre, pochi metri e sono di nuovo in terra. Non ricordo nemmeno quante volte succede. La fatica si fa sentire, il morale sprofonda. Ora che si fa sul serio, scopro che non ci so nemmeno stare in piedi su questo elefante di moto. Mi sento responsabile verso il mio compagno, so che in questo momento  il suo limite sono io.
Arriva e mi dice secco: "Basta. Non possiamo andare avanti così. Si torna indietro."
Non sta scherzando. È una frustata. Dove è l'Er Gallo che grida a squarciagola "DAI GAS!" ai compagni in difficoltà,  incubo e leggenda di chiunque abbia viaggiato con lui? Nemmeno questo mi merito? Non rispondo, mi scorre davanti agli occhi il mesto ritorno a Kiffa, l'asfalto della Via della Speranza.  Deglutisco un boccone amarissimo, guardo in terra mentre farfuglio "Arriviamo a Rachid, poi si vedrà".
Non posso non farcela. Devo solo girare quella maledetta manopola finché ce n'è, pensare solo ad accelerare, andare più forte, far galleggiare la moto, al resto ci pensa lei! E, questa volta, funziona...


Appena arriviamo a Rachid, siamo accerchiati dai bambini

Rachid

D: La pista si fa un pelo più scorrevole, e nonostante qualche ulteriore caduta, Nic trova la forza e le energie per continuare. Non ci fermiamo neanche al pozzo e tiriamo dritti verso Rachid; ci buttiamo in un oued ampio e scorrevole, ma di sabbia soffice come borotalco: manetta spalancata, motore in perenne ebollizione e... vietato rallentare.
Arriviamo a questo paese arroccato su una collina, che domina il fiume in secca sul quale corriamo... il tempo di fermarsi e siamo circondati da una moltitudine di bambini e ragazzi invadenti. La Dakar è sicuramente passata di qui negli anni scorsi, per cui sanno bene cosa sia una moto, e quanto sia raro sia che una di queste si fermi. Forse, se entriamo in paese, troviamo anche un po’ di benzina, per cui ci infiliamo nelle viuzze sabbiose con la scia di bambini che ci rincorrono... Ovviamente della benzina neanche l’ombra, ma se volessimo fermarci qualche giorno saremmo i benvenuti... e se non ci vogliamo neanche fermare, almeno qualche cadeau...
A star dietro a tutti quelli che chiedono un regalo, bisognerebbe scendere col camion carico! E tutti che vogliono le scarpette che ho sul traversino del manubrio: meno male che sono ben legate...

N: A me un tizio arriva addirittura a proporre un affare eccezionale. Mi chiede cordialmente, come si chiederebbe una sigaretta: "Scusa, perché non lasci qui la tua moto e continui in sella col tuo amico?" Disarmante…

Il guelta di Taoujafet
D: Via, via, verso la guelta di Taoujafet, che dalle foto che abbiamo visto a casa dovrebbe essere uno spettacolo della natura... Sempre sabbia, sempre acqua del radiatore in zona rossa, ma i km passano veloci e il GPS dice che siamo vicini...
Cambia il paesaggio, diventa tutto pietre; io mi incaponisco a cercare un punto GPS che è palesemente sbagliato, mentre Nicola trova l’imbocco esatto per la guelta. Peccato, c’è poca acqua e la poca che c’è è nera e palesemente malsana, ma il paesaggio rimane speciale e da cartolina. Ci si riposa un po’, si fa qualche foto e puntuali arrivano madre e figlia a chiedere un presente: non abbiamo niente, le scarpette sul manubrio non ve le posso dare e l’elemosina non è mai dignitosa... Queste non si perdono d’animo, vanno alla ricerca di una latta, e la usano come tamburo mentre abbozzano qualche imbarazzatissimo passo di danza tribale: scena pietosa e per fortuna breve, ma una mancia se la sono meritata...
Fantastico: abbiamo scovato il palmeto, Rachid e pure la guelta. Nicola si è ripreso, il morale è di nuovo alto e ora non rimane che puntare su Atar... sì e no trecento km. Ma abbiamo già fatto parecchi piccoli errori di navigazione e qualche km in più sicuramente l’abbiamo percorso, la mia moto sulla sabbia molle soffre un po’ (e beve) e l’altra si è coricata un po’ troppe volte... più che la paura di finire l’acqua, incombe la paura di finire la benza! In più la benzina che abbiamo messo a Tidjikja era di un colore assurdo, bianca come il latte... quanto renderà al chilometro? Ma che importa, qui c’è solo sabbia su cui correre, e planando su questo soffice tappeto svaniscono tutte le paure...
Corriamo in quello che era il letto di un fiume: ora c’è solo sabbia impalpabile, qualche palma e qualche acacia su quelli che dovevano essere gli argini rigogliosi... Un po’ troppo a nord-est, allora correggiamo il tiro uscendo dall'oued... costeggiamo un cordone di dune, ci teniamo alla sua sinistra, e prima o poi dovremo trovare il modo di attraversarlo...
Il vento alza sabbia in quantità, il paesaggio da una parte è piatto e dall’altra presenta queste dune morbide, discretamente alte, di sabbia rognosamente molle. Di una pista che attraversi queste dune neanche l’ombra, eppure è di là che bisogna andare. Il vento cancella ogni traccia in pochi minuti... mai perdersi di vista: qui se perdi il compare non lo ritrovi più... e lo speck ce l’ha tutto lui!
Questo paesaggio non è il massimo, più che altro la sabbia nell’aria rende tutto opaco e annulla l’orizzonte... ma è lontano da quello che i nostri occhi sono abituati a vedere e... ed è fantastico! Nessuna carreggiata da seguire, nessun limite mentale o fisico: alzi lo sguardo, analizzi velocemente la sabbia, studi in una frazione di secondo dove passare... e dai gas. Salite, discese, creste morbide da surfare: chi se ne frega della benzina che cala... E la paura che ti pervade (...alla fine sei su due sole ruote, lontano da tutto, senza una traccia da seguire, con piu’ benzina che acqua...) crea adrenalina che entra istantaneamente in circolo: droga reale, droga da assuefazione, quel mal d’Africa che quando torni a casa ti uccide...


Un'autocisterna nel deserto! Ma siamo sfortunati: porta gasolio.

Classica trappola di sabbia molle

Ricognizione a piedi...

Non troviamo la pista: non resta che fare il campo.

E giù a urlare a Nicola... ‘Dai, muoviti, che quella laggiù è la sagoma di un camion!’. Poche sono le costanti dei miei viaggi in Africa, ma di sicuro è un must l’urlare a chi mi accompagna: ecco perchè ogni anno devo trovare qualcuno nuovo che mi sopporti!
Il camion non è un miraggio. E non è qualche ultratecnologico turista su un Unimog da trecento milioni, ma una autocisterna vecchia come una Topolino, che arranca senza fermarsi nella sabbia, seguendo una traccia ai nostri occhi invisibile... Carico di nafta, solo diesel, e neanche un litro di benzina. Vabbè, se non altro ci lascia una traccia da seguire a ritroso (finché il vento non la cancellerà) e la consapevolezza di essere sulla rotta giusta.
Ci lasciamo alle spalle le dune, si prosegue su un piattone a volte di sabbia inconsistente, altre volte di sabbia mista a pietre. Seguiamo l’abbozzo di una pista in un dedalo di tracce che si disperdono nelle più svariate direzioni, e dopo parecchi chilometri vediamo delle capanne e lì vicino il segno tangibile che Dio esiste: decine e decine di fusti nuovi di pacca, rossi fiammanti: Total. Unleated fuel. A naso saranno 5.000 litri. A noi basta rabboccare i serbatoi per avere la certezza di arrivare ad Atar. Fossero anche solo 10 litri ci accontenteremmo... Spegnamo le moto, via il casco e si parte coi saluti di rito. Questi stanno lì da giorni, forse da settimane, in una capanna di paglia a fare la guardia a questo distillato di petrolio. E per passare il tempo giocano ad una specie di dama cinese su una scacchiera disegnata sulla sabbia. Le pedine bianche sono dei bastoncini di acacia, i neri cacche di cammello secche...: salutiamoci pure, ma la mano non te la stringo!
Due ore. Forse tre. Vuol dire centottanta minuti. A elemosinare, a piangere. A supplicare un po' di benzina. Le abbiamo provate TUTTE. Niente. Quella è la benzina per un rifornimento volante della Dakar. E a noi non ne spetta neanche una goccia... Non credevo possibile così tanta determinazione nel dire di ‘no’: mi sono illuso cedessero allo scadere della prima ora. Credevo si sarebbero impietositi alla seconda, dopo averli convinti che saremmo morti in mezzo al deserto... Zero. Non abbiamo ricaricato neanche il fornelletto... Ciao, ciao. Buona guardia... Impiccatevi. Ma alla fine stavano solo facendo il loro lavoro. E quanto l’hanno saputo fare bene!
Prima di salutarci ci danno una dritta: per Atar tornate un po’ indietro e prendete la pista di sinistra... E noi indietro siamo tornati, ma della pista di sinistra neanche l’ombra! Abbiamo iniziato a vagare in mezzo ad una distesa infinita di dunette, che poi hanno lasciato il posto ad uno sconfinato paesaggio di sabbia, a tratti piatto, a tratti movimentato da dune e dislivelli vari. Un infinito fuoripista. E neanche una traccia. Con i punti GPS palesemente sballati o comunque assolutamente insignificanti: piazzati a caso nel vuoto cosmico. E ti rendi conto che Atar è mostruosamente lontana, che la benzina non è sufficiente, che indietro non ci torni e che hai quattro litri d’acqua, che forse bastano per un giorno e mezzo... a patto di non coricare spesso la moto.
Incrociamo delle dune da attraversare, qualche piantata di troppo, la sabbia è soffice, non sai mai cosa c’è oltre la cresta, e a ripartire da un buco tra le dune si fatica sempre... ma è inevitabile quando non si è su una pista e tantomeno non si stanno seguendo delle tracce.
In un passaggio che necessita una ricognizione a piedi, vado avanti a vedere dove passare: trovata la via migliore, torno sui miei passi e quando rivedo le sagome delle moto e di Nicola mi accorgo che la mia Africa ha le luci accese... merda! Scena già vista l’anno scorso! Urlo, cerco di dire a Nicola via radio di spegnermi le luci, ma su quel cavolo di manubrio ci sono troppi interruttori... in più confondo la destra con la sinistra e il tapino sente le mie urla, vede la mia disperazione ma le luci rimangono accese...

N: Il lettore ora penserà che sono un deficiente, per cui mi permetto di puntualizzare... sto camminando verso la modo di Davide quando mi accorgo che da mezzo chilometro il socio mi sta urlando come un dannato. Da quanto si sbraccia, ci deve essere un pericolo di morte imminente... D'istinto mi volto, aspettandomi un'armata di predoni all'orizzonte, un aereo che mi precipita addosso, o un'astronave marziana pronta a risucchiarmi con il suo beamer... Quando capisco di cosa si tratta (!), mi metto alla ricerca del famoso interruttore, ma avete presente Azzurrina? Intanto il faro in questione non è sotto chiave (mah?), poi sul manubrio c'è una sfilza di interruttori mimetizzati da stop motore di emergenza, trovalo te quello giusto, col franco che grida senza sosta e pure indica il lato sbagliato...

Il campo al mattino

D: Per fortuna la batteria nuova di pacca (cambiata appena prima di partire) sopporta bene questo uso improprio, e la moto si accende senza problemi... è andata meglio del viaggio in Tunisia!
Il sole scende sull’orizzonte e anche l’ultimo punto della giornata, quello che ti sei prefissato di raggiungere perchè marcato come importante, non vuol dire nulla. Ci sono sì delle tracce, ma si disperdono per 360 gradi, e tutte, ma proprio tutte, finiscono soffocate da qualche duna. Non valgono nulla, non danno neanche una direzione da seguire e ti fanno capire che qui la sabbia inghiotte tutto in men che non si dica... È venuto il momento di accendere la balise, il nostro rally finisce in mezzo a questo cordone di dune, ma almeno il camion scopa ci tirerà fuori da qui. ... Illuso: come non ti spettava la benzina, così non hai una balise. E a seguirti non c’è nessun camion scopa.
Cala il buio, io testardo voglio trovare una dannatisima traccia, e piantarci la tenda sopra. Non la si trova: i fari illuminano solo sabbia, ci infiliamo in qualche canale in mezzo alle dune, ma sono tutti vicoli ciechi: alla fine ci sarebbe sempre qualche duna soffice e tagliata male da scalare... Nicola insiste -a ragione- per fare campo.

N: Mi ci vuole un po' a convincere Davide a mettersi il cuore in pace: non troveremo la pista questa sera, e forse una vera pista non c'è nemmeno, se tracce relativamente fresche sono ricoperte da recenti cordoni di dune non c'è da stupirsi se il nostro punto, preso da qualcuno anni prima, è in mezzo alle dune...
Stop ai motori, si piantano le tende e si mangia qualcosa,. ma niente che preveda l’utilizzo di acqua: inizia a diventare più preziosa della benzina!
Ecco, questo è il classico campo in mezzo al deserto, in mezzo al niente, contornati solo da sabbia, e con un cielo che non potrebbe avere più stelle...
Sarà che nel tentativo di stare dietro al compagno che da un'ora non si dà pace non ho avuto tempo di pensare a niente, sarà il sollievo per averlo finalmente raggiunto e convinto a fermarsi, oppure la stanchezza che mi fa desiderare il giaciglio pensando chissenefrega della pista, non sento la tensione per questa nostra ennesima empasse per cui Davide è (cosa veramente inconsueta) tanto preoccupato: mi concentro sulla mia cena a base di speck, grana e prugne secche, gnam gnam...

D: Cerco inutilmente di nascondere il nervosismo, intanto il compagno tira fuori tutte le dettagliatissime cartine che abbiamo. Le studia attentamente e poi ci si consulta: deviando a ovest dovremmo riuscire ad aggirare questo cordone! Ma in Mauritania anche le migliori cartine hanno più di vent'anni...

Mauritania 2006: Stage 6
4 Gennaio 2007
Percorso: Tidjikja - Ain Cefra (170 km)


Mauritania 2006: Cronologia



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